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con libera volontà. Il qual luogo qui riferito
ne spiega due altri del medesimo
Omero, ne' quali
con errore i
Politici fondano, ch'
Omero avesse inteso
la
Monarchia; uno è di
Agamennone, che riprende la
contumacia d'Achille, l'altro è di
Ulisse, che i Greci
ammutinati di ritornar'alle loro case persuade di continuare
l'assedio incominciato di Troja, dicendo entrambi,
che
uno è 'l Re; perchè l'un'e l'altro è
detto
in guerra, nella quale
uno è 'l General Capitano,
per quella massima avvertita da
Tacito, ove dice,
eam esse imperandi conditionem, ut non aliter ratio constet,
quam si uni reddatur. Del rimanente lo stesso
Omero in quanti luoghi de' due Poemi mentova
Eroi,
dà loro il perpetuo aggiunto di
Re: col quale si confà
a maraviglia un luogo d'oro del
Genesi, ove quanti
Mosè narra
discendenti d'Esaù, tanti ne appella
Re,
o dir vogliamo
Capitani, che la Volgata legge
Duces;
e gli
Ambasciadori di Pirro gli riferiscono d'aver veduto
in Roma
un Senato di tanti Re. Perchè in vero non
si può affatto intendere in
natura civile niuna cagione,
per la qual'i Padri in tal cangiamento di Stati avessero
dovuto altro mutare da quello, ch'avevano avuto
nello stato già di Natura, che di
assoggettire le loro sovrane
Potestà Famigliari ad essi Ordini loro Regnanti: perchè
la
Natura de' Forti, come abbiamo nelle
Degnità sopra posto, è di rimettere degli acquisti fatti con virtù
quanto meno essi possono, e tanto, quanto bisogna,
perchè loro si conservin gli acquisti; onde si legge sì
spesso sulla
Storia Romana quell'eroico disdegno de' Forti,
che mal soffre
virtute parta per flagitium amittere.
Nè
tra tutti i possibili umani, una volta, che gli stati
civili non nacquero nè da froda, nè da forza d'un
solo, come abbiam sopra dimostro, e si dimostrerà
più in appresso, come dalle
potestà Famigliari potè
formarsi la
Civil Potestà, e de'
dominj naturali paterni,